episodio 13. pesci fuor d’acqua

pesci migranti italianinell’anno del signore 2007, una mattina qualunque di primavera a milano, malpensa per la verità, all’aeroporto per la precisione. sto per imbarcarmi sul volo per casablanca. io e gli altri passeggeri siamo sull’autobus che ci porta al parcheggio dell’aereo per poi decollare, ma quando arriviamo davanti all’aereo, le porte non si aprono e restiamo impotenti e senza spiegazioni in una scatoletta di vetro e ferraglia ad assistere a quello che succede fuori. siamo in un acquario al contrario, pesci protetti all’interno di un finto universo che osservano l’universo vero, la’ fuori che da spettacolo.

purtroppo per tutti lo spettacolo offerto ai pesci è decisamente penoso. il motivo della nostra mini-reclusione è la presenza di un gruppo di 3 persone che stanno venendo caricate sull’aereo a forza. sono 3 persone di origine non italiana alle quali viene imposto un rientro coatto nel paese di provenienza, 3 espulsi, insomma. 2 di questi salgono la scaletta tranquillamente, accompagnati da poliziotti, davanti ai nostri occhi che osservano da dentro al pulman. il terzo invece non ne vuole sapere e cerca di opporsi con forza. è ammanettato, ma servono 4 persone per fargli salire le scale.

mentre assistiamo a strilla e urla di ogni genere, nel nostro bell’acquario sento gi altri i pesci che cominciano a commentare. la maggior parte sono pesci turisti, di quelli con la pelle a fiori e le pinne infradito. famigliole in vacanza, per lo più. ma c’è anche qualche pesce d’affari e qualche avventuriero sparso. boccheggiando, i pesci osservano riferendosi all’espulso: “si agita così perchè sa cosa lo aspetta quando arriva a casa sua”. mi giro per guardare che aspetto poteva avere una persona talmente’ esperta di espulsioni e rimpatrio, pensando di trovare un pesce giudice o un pesce avvocato o al limite un pesce sociologo. invece vedo le infradito e riconosco il pesce turista, della specie chiacchierona, quelli che “io non so un cazzo ma ho un’opinione su tutto”. per fortuna c’è anche chi si scandalizza e dice che non è possibile ridursi a questo, deve esserci un’alternativa. l’alternativa c’è, di sicuro, ma sappiamo tutti che non la troveremo oggi qui, chiusi in questo acquario dove ci tengono senza darci spiegazioni costringendoci ad assistere ad uno spettacolo a dir poco diseducativo. mi domando cosa spiegheranno i pesci madre e padre ai loro pesciolini figli quando stasera gli domanderanno: “mamma, perchè quel signore non voleva salire sull’aereo oggi? mamma, perchè urlava e chiedeva aiuto? mamma, perchè aveva le manette? mamma, perchè non lo abbiamo aiutato se ci chiamava? mamma, perchè?”

non so che risposta daranno, ma se i pesci madre si dovessero fare un’opinione solo guardando questa scena, potrebbero legittimamente concludere che l’ammanettato, l’espulso visto sull’aereo sia un pericoloso criminale incallito di cui dobbiamo evidentemente liberarci e che, una volta tornato al suo paese, da dove è venuto e dove è bene che resti, troverà chissà quale terribile trattamento, quale severa chaaria gli imporrà pene crudeli e selvagge. del resto, a casa sua è tra la sua gente e alla fine starà meglio li, fra di loro si capiscono sicuramente meglio. sono pesci della stessa razza, noi non abbiamo nulla da spartire con loro. nel nostro acquario ci sono costumi diversi e regole ben precise e chi non le rispetta è giusto che ne resti fuori e navighi in altre acque.

ma chi sono questi espulsi? questi selvaggi che possono essere domati solo da 4 poliziotti? questi pesci migranti che vanno e vengono attraverso il mar mediterraneo, trasportati avanti e indietro da correnti, maree e risacche? questi pesci hanno un nome, si chiamano Ibrahim, Mirela, Elvin, Abdel. non sono mostri, sono pesci migranti. mi è capitato negli ultimi anni di incontrarne qualcuno. Con gentilezza e semplicità, mi hanno regalato le loro storie:

ibrahim ha 21 anni oggi. nel 2005, è tornato in marocco dopo 5 anni che viveva in italia. ha lasciato il marocco quando era molto giovane. a 14 anni, da tangeri, ha preso una macchina e ha attraversato la spagna senza difficoltà fino ad arrivare in francia. qui è stato fermato dalla polizia ma dopo un mese è riuscito a salire su un treno diretto in italia, a torino dove è stato aiutato da un centro di assistenza per minori. ha frequentato un corso di formazione per giardiniere. poi ha lavorato in un piccolo hotel e nel frattempo ha seguito altri corsi in una scuola a torino, fino al conseguimento della terza media. Durante i suoi anni italiani, ha avuto molti amici ed ha conosciuto molta gente con quale mantiene ancora oggi dei contatti via telefono o email. dice che era riuscito ad integrarsi bene in Italia, ma una volta diventato maggiorenne non è riuscito ad avere i documenti e durante un controllo di polizia, è stato fermato come clandestino e immediatamente inviato al “suo” paese. oggi dice di essere comunque abbastanza felice anche in marocco, ma ha nostalgia dell’italia. quando ci siamo incontrati, era felice di potere parlare ancora italiano.

mirela proviene dalla mirdita, una regione nel nord dell’albania. nel 1992, dopo la caduta del regime comunista ed il rapido peggioramento della situazione economica e politica, lei e suo marito si trovano in grande difficoltà economiche e con due figlie da crescere. decidono quindi di muoversi dal villaggio natale con l’intera famiglia per cercare una vita migliore nella capitale. vendono la loro casa per 3500 euro, e cominciano a vivere in un appartamento molto semplice, in affitto, nella periferia di tirana. le cose però non miglirano molto. nella capitale la situazione è la stessa: disoccupazione, povertà, mancanza di sicurezza. a fronte di una situazione che non offre alternative, il marito decide di lasciare l’albania, la sua vita e la famiglia e di emigrare in italia usando i pochi risparmi rimasti dalla vendita della casa. nel frattempo mirela comincia a vendere banane e sigarette sulla strada per poter sfamare le proprie figlie ogni giorno. all’inizio il marito chiamava spesso mirela e provava a prendersi cura della famiglia anche da lontano. poi però i contatti si fanno meno frequenti fino ad interrompersi completamente. mirela riesce comunque a sapere dove si trova suo marito e riesce ad organizzare il viaggio, clandestino, insieme alle sue figlie. mirela riesce cosi’ a raggiungere il marito, dopo 8 anni di separazione. lui è molto cambiato. all’inizio le chiede addirittura di vivere altrove, giustificandosi con esigenze di lavoro. vivono separati per tre anni, durante i quali mirela e le sue figlie sono costrette a rimanere sempre chiuse in casa, poiché, essendo illegali, sono terrorizzate di uscire in strada. alla fine mirela scopre ciò che sospettava: suo marito è sposato con un’altra donna dalla quale ha avuto 2 figli. mirela si rende conto di aver vissuto in prigione per tre anni, dovendo nascondere se stessa e le figlie da tutto il mondo. sconfitta, mirela decide di tornare in albania. è sola e senza nulla. solo le sue figlie riescono a darle la forza di ricominciare. mirela inizia a vendere castagne sulla strada, poi riesce ad aprie un piccolo chiosco e infine apre un bar. Mirela ha di che essere fiera di se stessa.

elvin è originario del nord dell’albania, ma si è trasferito a tirana. ha fatto una scuola per agricoltori e ha lavorato per nove anni in una industria chimica albanese. poi ha deciso di partire per l’italia. è stato in italia sei volte illegalmente, correndo molti pericoli nell’attraversare il confine e pagando ogni volta 500-1000 euro. ha vissuto in emilia, sempre senza documenti. durante quel periodo ha solo potuto lavorare al nero come manovale o contadino. non è mai riuscito ad avere i documenti in regola e ogni volta che veniva fermato rischiava di essere rimpatriato. Finchè una volta non è stato fermato ed espulso. il ritorno è stato molto difficile. elvin adesso lavora in un bar a tirana e alleva colombi sul tetto di casa sua. In italia ha lasciato un amore e parte della sua vita, che forse non tornerà mai più.

abdel è nato in marocco. la speranza di una vita migliore, la volontà di tentare la fortuna altrove, le storie raccontate dai suoi conoscenti già partiti in passato, lo convincono a partire verso l’italia. all’inizio arriva solo in francia, da dove tenta di entrare in italia varie volte. viene fermato dalla polizia di frontiera due volte a alla fine, dopo tre mesi di tentativi, decide di rivolgersi ai trafficanti di essere umani. seguendo un passeur, riesce ad attraversare le alpi e arrivare in italia. decide di raggiungere un amico a napoli, dove resterà poi per 18 anni. Abdel in Marocco ha studiato fino alle superiori e ha poi seguito un corso di formazione professionale per carpentiere. Non ha quindi problemi a trovare lavoro in Italia, dove lavora prima come semplice operaio e poi come capo squadra. Oltre alla sua carriera, gradualmente si abitua allo stile di vita italiano e crea una rete di rapporti personali tra amici e colleghi. In 18 anni, si costruisce una vita. Ma anche una intera vita può essere distrutta da un singolo evento sfortunato. Durante una notte di festa, viene coinvolto in una rissa. Viene arrestato dalla polizia, giudicato e condannato a due anni di prigione dopo i quali, viene espulso. Dopo 18 anni in Italia, abdel torna quindi forzatamente in Marocco. Nel 2004 torna alla sua città natale, Khouribga. Il ritorno è difficile. Dopo 18 anni, tutto è cambiato. Non riconosce la sua città, non ha più punti di riferimento e si sente uno straniero. Si sente diverso dalla famigia e dai vecchi amici. Non è capace di adattarsi alla mentalità marocchina che trova « chiusa » e in ogni caso differente a quella a cui si era abituato in Italia. Abdel fa fatica, deve integrarsi nel posto che gli dicono essere casa sua.

Il mare è grande. L’immenso universo mare è popolato di pesci di tutti i colori. In realtà sono sempre pesci, anche se possono essere molto diversi tra loro. Ognuno ha la sua storia, ma alla fine tutte le storie sono simili. Ogni pesce cerca acque pulite dove nuotare, cerca un mare libero da esplorare. A volte riescono a decidere loro quando partire e dove andare, a volte la corrente è troppo forte e li obbliga a tornare indietro. A volte invece li trascina via a forza, magari ammanettati. Da dietro il vetro del nostro acquario osserviamo un mondo non lontano dal nostro. In fondo siamo pesci anche noi. Se qualcuno togliesse il vetro, forse non succederebbe nulla di particolare, semplicemente nuoteremmo tutti più facilmente nello stesso mare. Ma guardando bene forse il vetro non c’è già più, forse basta solo provare a dare qualche colpo di pinna verso quel pesce dai colori strani. Ecco, ci provo, mi sto avvicinando. Mi sorride.

2 thoughts on “episodio 13. pesci fuor d’acqua

  1. Ciao Paolo!
    Domani ti vedrai un trackback.. non ti preoccupare… non è qualche sorta di spam.. sono io che ho recensito il tuo podcast per il podcast day 🙂

    A presto,
    Andrea

  2. ciao paolo… cercavo ispirazione per l’ultimo capitolo di tesi…. e sono finita nel caro vecchio podkasbaht… questo post mi ha fatto “sbiellare”: commozione e ispirazione…

    buona india, e salutami tanto madda e pietro (che fortuna avere un papà cantastorie come te 🙂

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