episodio 18. i miei esperimenti con l’india

con il nuovo episodio alcuni cambiamenti in podkasbaht:

  1. tanto per cominciare il microfono! una recente sorpresa ha dotato podkasbaht di un bellissimo samson c01u. una vera figata che ovviamente non riesco ancora a controllare bene, ma imparerò presto. se qualcuno ne ha esperienza e ha voglia di condividerla, ne sarei molto felice;
  2. da questo episodio inizio a numerarli. bello sforzo, lo so, ma non lo avevo mai fatto prima;
  3. ho introdotto una sigletta finale che d’ora in poi chiuderà sempre gli episodi.

oltre a questo, un paio di precisazioni sull’episodio. mi sono reso conto solo dopo aver finito che il gioco di parole “i miei esperimenti con l’india”, che richiama il titolo dell’opera autobiografica di ghandi, era già stata usata (almeno) da giorgio manganelli, scrittore italiano.

poi, ho detto che la tata si è comprata la jaguar e la ford, mentre invece ha comprato jaguar land rover da ford. nel testo qui sotto ho corretto, nel podcast è rimasto l’errore. ma tanto, per i due o tre che mi ascoltano, che cambierà mai? buon podcast.
la storia dei miei esperimenti con l’india.

siamo in mare ormai da quasi sei mesi e ancora non vediamo terra. ogni tanto, nei giorni chiari e non troppo afosi, magari dopo una pioggia rinfrescante, all’orizzonte si intravede il contorno delle montagne. devono essere i gati occidentali che sono visibili anche a kilometri di distanza. a volte per la verità sembra di essere vicini e di riuscire a vedere anche la costa. in quei momenti ci illudiamo di essere vicini alla meta, ma poi la costa sparisce all’orizzonte e davanti a noi c’è di nuovo solo il mare. l’immenso subcontinente ci sfugge, non riusciamo a raggiungerlo. dopo 6 mesi di navigazione, da quando abbiamo lasciato il porto di tangeri, siamo ancora molto lontani. l’equipaggio è affaticato e ha bisogno di riposo. l’entusiasmo iniziale della partenza sta cominciando a lasciar spazio allo sconforto. conosco i miei uomini e so vedere nei loro sguardi fedeli i segni della stanchezza. questi uomini mi hanno seguito ovunque, attraverso mari burrascosi e profondi abbiamo viaggiato per i 5 continenti. mai un viaggio è stato tanto lungo, mai i miei uomini hanno conosciuto la stanchezza prima d’ora. non mi abbandonerebbero mai, nemmeno se stessimo per affondare, ma sento che sono stanchi e che leggo nei loro occhi una richiesta di rassicurazione: “dicci, capitano, quando arriveremo”. oh miei uomini fedeli e coraggiosi, questa volta il vostro capitano non ha risposte da darvi. ho solo il mio smarrimento davanti a questo mare immenso che ancora ci separa da una terra sconosciuta. in questo mare non c’è bussola o stella che possa aiutarci. siamo soli con noi stessi.

rinfrescati, si fa per dire, da un eccezionale e inaspettato monsoncino che si era perso per strada e che ha portato qualche giorno di pioggia torrenziale, ci avvicianiamo a grandi passi all’estate indiana. le scuole chiuderanno il 15 aprile, gli studenti sono in fermento per gli esami, e si respira una tenera aria di vacanza. per la verità, l’aria è sempre la stessa, per lo più irrespirabile, solo che il caldo sta diventando soffocante e tutti dicono che nei prossimi due mesi sarà ancora peggio. i miei esperimenti con l’india continuano.

l’india è un osso duro da masticare, un intero sub-continente da digerire. leggo sui giornali che l’india è un colosso in crescita spaventosa: per il 2008 si prevede l’8% [1] contro lo 0,3% dell’italia [2]. mentre la nostra povera italia si sgretola sotto la mediocrità storica propria e della sua classe dirigente, e per esempio dell’alitalia non ci resta che vendere i debiti la tata, multinazionale indiana, compra jaguard land rover da ford, cosi’. nel frattempo annuncia anche il lancio di una macchina low-cost per il mercato indiano a meno di 2000 euro. una roba da far paura. e infatti un po’ paura la fa. forse non è un caso che l’unico atleta che abbia annunciato che boicotterà il trasporto della fiamma olimpica per protesta contro la repressione cinese in tibet, sia indiano. forse dovrebbe spaventare sapere che l’india si stia attrezzando per diventare un super-potenza nucleare. poi esco in strada e mi guardo intorno. Macchine costosissime sfrecciano sclacsonando accanto a pulciosi risciò a pedali. Il misterioso subcontinente ha molte velocità.

Uno dei casi più citati quando si parla della crescita indiana è quello dell’outsourcing. Ditte e società non indiane esternalizzano alcuni settori di attività, tipicamente servizi, ad aziende indiane, delocalizzando il servizio di solito in modo “invisibile” per i clienti della società non indiana. È un po’ lo stesso concetto di trasportare le fabbriche in paesi dove la manodopera costa poco. Nel settore dei servizi questo si chiama outsourcing. Sono famosi ad esempio i call-center marocchini dove un esercito di precari sottopagati risponde alle domande di clienti francesi facendo finta di essere veramente in francia (i marocchini devono cambiarsi nome e sullo schermo del PC hanno le previsioni del tempo di parigi per poter rispondere a eventuali domande “imbarazzanti”, ma in ogni caso non devono far sapere ai clienti francesi che le risposte alle loro domande francesi provengono dall’africano marocco). In india la cosa funziona da tempo con il settore ICT. Si legge un po’ ovunque di questi eserciti di programmatori che lavorano notte e giorno per multinazionali occidentali. Ma non è tutto qui, l’outsourcing indiano non corre solo sulla fibra ottica, ma anche sulla vecchia ferraglia degli autobus. Uno dei campi di applicazione dell’outsourcing infatti è quello del data entry, l’inserimento dei dati: milioni di schede cartacee devono essere trattate e i dati inseriti in un database. si tratta si schede provenienti da vari settori, soprattutto quello medico, come le cartelle cliniche dei pazienti, vengono compilate a mano negli ospedali degli stati uniti, scannerizzate, inviate via internet in india in pochi secondi, poi scaricate in india, masterizzate su CD, CD che vengono a loro volta caricati su un autobus e inviati in vari villaggi dove giovani locali aspettano i CD con le scansioni delle schede cartacee, leggono sullo schermo i dati sotto forma di immagine e li inseriscono in un database strutturato, ad esempio access o anche solo in un foglio excel. A questo punto rimasterizzano il file excel, mettono il CD sull’autobus che dal villaggio torna al punto di partenza dove qualcuno lo aspetta, e lo trasmette via internet all’ospedale negli stati uniti. geniale.

anche in quella che è forse la capitale dello sviluppo indiano, bangalore, la cosidetta silicon valley indiana, le velocità sono molteplici. se prendi un moto-risciò o un’auto, un bus, per fare anche pochi kilometri ci possono volere delle ore. la città è completamente bloccata dal traffico. ricercatori tedeschi hanno messo a punto un sistema sperimentale di riconoscimento automatico delle immagini che, piazzando un numero opportuno di webcam in giro per la città, dovrebbe essere in grado di avere in tempo reale la situazione del traffico ovunque. beh, anche senza webcam ci si può arrivare ugualmente: il traffico è un unico ingorgo grande come tutta la città. in ogni caso, questo problema evidentemente crea non poche difficoltà al settore portante della regione: i grandi manager dell’information technology mondiale che arrivano dagli usa e dal giappone non hanno tempo per infilarsi nel traffico. la città di bangalore ha quindi risolto il problema. come? riducendo il traffico ad esempio aumentando i trasporti pubblici? no. prima di tutto ha costruito degli hotel dentro all’aeroporto. dentro vuol dire “dentro”. vuol dire che per qualche centinaio di dollari puoi fare il check-in nella stanza dell’albergo. volendo, in ciabatte. se poi le camere finissero, o comunque uno volesse dire: “io a bangalore ci sono stato, e che cazzo, sono uscito anche dall’aeroporto”, niente problema. all’aeroporto ci sarà un servizio di elicottero che porterà i manager direttamente alle loro riunioni in centro città, sui tetti dei grattacieli di bangalore. i manager non dovranno scendere tra il fango delle strade dove ogni tanto, va detto, qualche topolino girella ancora allegro. i manager resteranno sui tetti dei grattacieli, trasportati con elicotteri mentre sotto, i gialli risciò, aspettano da ore fermi ad un semaforo che non diventerà mai verde.

ci si potrebbe domandare dove portino queste velocità. Verrebbe il dubbio di chiedersi: si sta seguendo il modello occidentale, prima o poi anche l’india si occidentalizzerà? Naipaul, scrittore indiano premio nobel per la letteratura nel 2001, sostiene di no. nel suo bellissimo: “Una civiltà ferita”, scritto trenta anni fa e ancora molto attuale, racconta nele prime pagine di un tempio indiano millenario dove, durante la guerra, alcuni soldati inglesi avevano ucciso un coccodrillo, profanando cosi’ il luogo sacro, probabilmente senza saperlo. trenta anni dopo, per riconsacrare il tempio profanato, (leggo da naipaul): “deve essere compiuto uno sforzo speciale e il metodo che si adotta è uno dei più arcaici, ci riporta agli esordi della religione e dell’umano stupore. E’ il metodo della parola: in principio era il verbo. un mantra di dodici lettere verrà salmodiato e scritto cinquanta milioni di volte […] da cinquemila volontari. […] Un tempio di mille anni tornerà in vita: l’india, l’india hindù è eterna; conquiste e profanazioni non sono che attimi nel tempo.”

l’india sembra lontana da tutto. o meglio, il mondo sembra finire qui. nel sud l’occidente e l’europa sono universi quasi sconosciuti. neanche i media riescono ad insinuarsi con riferimenti culturali alternativi. qui c’è bollywood, una delle più grandi e promettenti industrie cinematografiche del mondo. canali televisivi trasmettono senza sosta i film più famosi, molti musical ma anche tanti film d’azione. gli attori più famosi riempiono i giornai e i muri delle città, le suonerie dei cellulari impazziscono ai ritmi delle musiche dei film. la BBC ha addirittura creato un canale speciale del suo podcast al gossip sulle star di bollywood. e sono queste star a dettare modelli di costume, sono loro che fanno avanzare, o no, la mentalità comune. l’america è solo un fatto di cronaca, l’europa un bel museo.

ma i legami con l’occidente ovviamente ci sono e ben saldi. non scherziamo. è che sono sottili e non si vedono ad occhio nudo. ogni tanto però, capita di vedere qualcosa e ci si fanno delle domande. Il distretto di karaikal si trova sulla costa orientale dell’india. Lo tsunami ha scaricato una bella briscola da queste parti tre anni fa e la gente, che già non se la passava bene, ancora oggi stenta a campare decentemente. Per frenare la povertà estrema il governo ha appena lanciato un programma con il quale assicura uno stipendio di poco meno di due euro al giorno per al massimo 100 giorni di lavoro. Al mercato di karaikal, in questo posto cosi’ povero, tra la frutta e la verdura, ho trovato e assaggiato delle mele importate da washington. Si, quella della casa bianca. Delle buonissime meline rosse coltivate ad un tiro di schioppo dalla stanza ovale di bush, sono vendute al mercato di karaikal. Ora mi domando: come è possibile che i data entry operator facciano le notti in bianco per riempire le schede degli ospedali americani e nei mercati dei posti più poveri dell’india ci siano mele importate da washington?

Le molteplici velocità dell’india. La crescita vertiginosa. Outsourcing, ICT, energia nucleare, bollywood e le mele di washington. Sono confuso, non capisco più niente. Sento un suono…. driiiiin.
Ah…. è la mia sveglia. Stavo solo sognando. Sono sempre sulla mia barca, siamo ancora in mare. All’orizzonte vediamo la terra. Oggi sembra più vicina e il vento soffia nella buona direzione. Se riusciamo a mantenere l’andatura in poche settimane potremmo arrivare. Anche i miei uomini sono più sereni. Uno mi guarda e sorride. Mi offre quello che sta mangiando. Una deliziosa mela rossa.

[1] http://www.thehindubusinessline.com/2008/04/03/stories/2008040352401000.htm
[2] http://www.repubblica.it/2008/03/sezioni/economia/conti-pubblici-68/fmi-crescita/fmi-crescita.html

8 thoughts on “episodio 18. i miei esperimenti con l’india

  1. Aggiungi un quarto ascoltatore che ti segue già da qualche settimana 🙂

    Complimenti davvero per il podcast.

    I tuoi racconti hanno un sapore originale legati ad una realtà lontana in cui si possono però trovare tratti di universalità legati in qualche modo alla globalizzazione che ci stà appiattendo tra la povertà e la ricchezza.

    Stiamo smarrendo la rotta un pò tutti in questo mare all’apparenza calmo.

    Quando si incominciano a perdere le pecularietà delle varie culture si smarrisce quel senso d’identità che tanto ci contraddistingue come individui e come società.

    Il tempio millenario è ancora in vita solo che non lo si riesce a percepire, non lo si riesce a vedere. Le nostre percezioni, i nostri sguardi sono distolti da un tempio più giovane che ha le fondamenta basate in una visione della vita monocromatica ed antropocentrica.

    Saluti d’oltreoceano

  2. caro andrea,
    grazie per il bellissimo commento.
    speriamo di non smarrirci troppo.
    un saluto attraverso ben 2 oceani.
    p.

  3. Non ho capito esattamente dove son finito, ho appena letto qualcosa e sentito la tua voce. Cercavo soltanto per semplice curiosità le voci “papaveri e margherite” e… Eccomi quà.
    Chiunque tu sia hai il merito di avermi regalato un quarto d’ora di gioia interiore. Dovrò seguirti con più calma. Sei in gamba.

  4. ciao gian carlo,
    piacere di conoscerti e di averti tra gli ascoltatori di podkasbaht, che non è nulla di particolare, è solo un posto dove mi piace raccontare quello che mi capita di vedere. tutto, qui, niente di più. molto personale, e senza nessuna ambizione. un saluto. p.

  5. Ciao Paolo
    Io non commento ma seguo sempre … piedi sul tavolo dell’ufficio tra un esperimento e l’altro ….
    Bacioni a tutti e tre
    Daniel

  6. olà daniel! i piedi sul tavolo sono in effetti essenziali… 😉
    mi raccomando non fare scherzi, vota obama!
    quando vieni a trovarci!? abbracci. p.

  7. Mastro Paolo, Mi ricordi quel lucido pomeriggio di partenopea ‘staggione’, un lustro fa, in cui scoprii, non volente, l’anime “Elfen Lied”. Stiloso e pregno di messaggi e di racconti_da_viaggio. Nell’arco delle 24 ore me ne procurai tutti gli episodi e fullimmersai. Gioia fu. / Lo stesso fo’ di te e la mia cinquecento gia’ ti si affeziona e sbuffa e sbotta se giro di chiavetta senza i tuoi empitre a carezzar, vibrando, i finestrini. / (s)Profondo amore a itacast, puranche.
    -Morgan.

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