episodio 0. il pastore di bombole

benvenuti a radio kasbah. un podcast realizzato dalla terrazza di un ryad, in un’antica roccaforte a rabat, in marocco. la roccaforte è chiamata kasbah des oudayas, dal nome della popolazione che originariamente abitava questi luoghi.

questo è il numero zero del podcast, quello che, se fosse una normale trasmissione alla radio o alla televisione, si realizza per convincere il produttore che l’idea è buona e vale la pena finanziare altri numeri. in realtà, come spesso accade in rete, per questo podcast autore e produttore coincidono e quindi l’opera di convincimento sarà sicuramente più diretta, per quanto non necessariamente più efficace. i mezzi a disposizione sono quelli che sono, il materiale umano è quello che è e sull’esperienza sorvoliamo proprio. però sulla terrazza l’aria è fresca, l’oceano ormai è andato a dormire ed è restato solo il vento della sera che, si sa, porta sempre un po’ di scompiglio, confusione e inconscienza. insomma, ci sono le condizioni ideali per partire.

partire verso dove? beh, questo ancora non lo so. mi ero ripromesso di parlare del marocco…per dare un’immagine… ma no, in realtà non so dove andrò a parare. e poi, è molto importante saperlo prima? beh si, si potrebbe avere un tema e dire: “io parlo di questo argomento, io prenderò questa direzione”. però se poi mi va di cambiare strada e di parlare d’altro? no, meglio

lasciare aperte tutte le possibilità. e poi sono io il produttore, e quindi ho il diritto a fare quello che voglio. no, nessun tema. il filo conduttore saranno banalmente la geografia e la storia, due materie in cui ero particolarmente scadente a scuola e rispetto alle quali, lo ammesso, forse mi voglio solo prendere una rivincita. storia e geografia, ovvero quello che mi succede e dove mi succede.

il motivo di tutto ciò è molto banale. non penso davvero che quello che dirò possa essere particolarmente interessante. o meglio, lo spero ma non è questo il punto. il punto è che ho il terrore dell’oblio. sempre avuto, peraltro. una di quelle fobie che ci si tirano dietro fin da bambini e che quando poi si diventa vecchi si trasformano in manie incomprensibili agli altri. ho paura di dimenticarmi tutto, ho paura che tutto vada perduto e che alla fine non resti niente. da qualche parte ho una remota convinzione che non sarà così, almeno a livello profondo. ma sulla superficie che accadrà? che accarà alle mille storie che osservo, che osserviamo? che accadrà alle storie che ho sentito, alle persone che ho incontrato?

fin da piccolo ho avuto le manie delle collezioni. ho cominciato con gli innocenti calciatori “panini”, come tutti, e con la passione per i francobolli, lasciata in eredità da una cara zia. sono cresciuto insieme alla tecnologia che permetteva di stoccare e archiviare in modo sempre più efficiente e sicuro quantità sempre più grandi di informazioni. però, purtroppo per me e in contrasto con il buon senso, le mie ansie crescevano con i loro progressi, invece del contrario. come effetto collaterale delle soluzioni sempre più sofisticate trovate da questi ingegneri e programmatori, nel silenzio della storia e lontano dalle riviste scientifiche, nasceva un mostro: l’ansioso da oblio.

raro, ma non unico esemplare di umano affetto da tale sindrome, il primo supporto tecnologico verso cui mi sono rivolto è stato però quello cartaceo. al grido di “mamma facciamo l’albero genealogico” mi sono più volte lanciato nell’eterna avventura di districarmi tra i meandri delle memorie di famiglia, minacciate di tragica scomparsa e cancellazione eterna. diversi tentativi prima su fogliacci semplici, poi su una bella carta comprata dai miei in una qualche bottega artigiana di firenze per cercare di placare il mio tormento. ognivolta un nuovo appassionato inizio, nessuna volta portato a termine. in effetti gli alberi, questo modo astuto di organizzare l’informazione rispettando l’ordine gerarchico degli elementi e le loro connessioni, non è fatto per essere messo su carta. troppe sono le variabili che si devono conoscere in anticipo, e se la struttura logica svolge egregiamente il suo ruolo, lo strumento cartaceo non è affatto quello adeguato.

mi sono quindi appassionato agli archivi informatici, già dalla tenera età di 16 anni. Poco dopo, a 18 anni, quando i miei coetanei erano in ben altre faccende affaccendati, io scrivevo programmi al computer per gestire la biblioteca di casa. giusto per fugare subito ogni dubbio riguardo ad improbabili doti e talenti nascosti, è doveroso ricordare che tali programmi non hanno mai funzionato e sono solo riusciti a produrre (in ordine non prevedibile) una pagina stampata piena di cuori, picche e quadri (non c’erano i fiori, lo ricordo bene), a cancellazione di tutti i dati presenti sul computer e del fumo dallo schermo (questo si, credo che sia stato in qualche modo geniale). la bilioteca di casa è quindi rimasta nel suo stato di disordine cronico, ma sotto controllo umano, e la mia ansia intatta a livelli patologici.

incapace di dominare le strutture ad albero, sconfitto dai misteri della programmazione, ho deciso di sfruttare l’utlima possibilità offertami dalla tecnologia: la forza bruta. a partire dal 1996, ovvero a partire da quando la mia vita ha cominciato a lasciare tracce costanti e quotidiane in un computer sul mio lavoro, sui miei passatempi e la mia vita in generale, a partire da allora, non ho più cancellato alcun file dal mio hard disk. si, lo so, sembra strano, impossibile. però è così. da circa10 anni a questa parte accumulo roba nella mia “home directory” senza (quasi…) nulla gettare. ma anche questa soluzione non va, ha i suoi limiti. mi servono dischi sempre più capaci (il terabyte comuncia ad andarmi un po’ precisino) ch comunque si possono rompere e… insomma, ancora non ci siamo. la mia ansia dell’oblio non riesce proprio a trovare pace. quello che ho fatto andrà perso, le cose che ho sentito, le cose che ho letto e visto. tutto perso?

recentemente sono stato colpito da una notizia (http://www.guardian.co.uk/uk_news/story/0,3604,1545277,00.html) nella quale si diceva come i tecnici dell’agenzia inglese per l’energia atomica avessero deciso di conservare dei preziosissimi dati sullo smantellamento di alcuni reattori nucleari. il problema è che questi dati devono essere conservati virtualmente per sempre, o almeno devono poter essere acceduti fra 10, 50 100, 1000 anni per poter dare indicazioni a chi, in futuro, si trovasse a dover maneggiare questi scarti pericolosissimi. al momento nessuna tecnologia di stoccaggio mette al sicuro eventuali dati per oltre un decennio. o almeno, nessuna tecnologia digitale, niente che sia basato o usi i computer. i tecnici dell’agenzia inglese, dopo lunghe ricerche, hanno infatti optato per una soluzione che risale ad alcuni millenni fa: il papiro, si il papiro usato dagli egiziani per arrotolare il proprio sapere. nell’anno del signore 2005 (questo fatto è successo l’anno scorso), alcuni fra i tecnici più avanzati di uno dei paesi più avanzati per risolvere uno dei problemi di “oblio” fra i più spinosi, ha deciso di utilizzare una tecnica vecchia di 4mila anni: il papiro degli egiziani. e come dargli torto: la storia gli ha già dato ragione. almeno fino ad oggi.

raccontare costa meno di un foglio di carta, meno di un hard-disk e anche meno di un rotolo di papiro. ma non è certo per motivi economici che mi sono deciso. è che alla fine mi sono chiesto: e se il mare nero davvero si inghiottisse tutto? sarebbe davvero un problema? lo sarebbe, fintanto che ci fosse una sola persona a sentirne la mancanza. l’oblio esiste solo se non ci sono più gli uomini e le donne che ricordano e che raccontano. quindi raccontiamo…

la storia del pastore di bombole.

nella kasbah, dove vivo, non arriva il gas metano, e tutti hanno in casa una bombola per cucinare, per scaldarsi e, i più ricchi, anche per farsi la doccia calda. fra le varie bottegucce che ci sono (detti hanut), che vendono gli articoli più svariati dalle lampadine al pane allo shampoo al succo d’arancia ,etc… è normale che ci sia anche qualcuno che vende le bombole. non è un settore con il quale ci si arricchisce, ma il guadagno è piuttosto sicuro. e poi non richiede molto lavoro, basta un magazzino dove mettere le bombole e qualcuno che le controlli. il proprietario dell’hanut che vende bombole, ha quindi deciso, forte di questa relativa agiatezza nella quale si è trovato grazie alla sua collocazione strategica, ha deciso di assumere un aiutante, un garzone o come vogliamo chiamarlo. una persona che si occupasse delle bombole. in realtà, come dicevamo, alle bombole non si deve fare molto, quindi in pratica il garzone sta li a guardarle, è come un pastore. il pastore delle bombole. il pastore delle bombole della kasbah des oudayas era un vecchietto silenzioso. il padrone l’aveva messo a dormire con le bombole, in una stanzina di 1 metro per 1 metro con una brandina, una lampada e una decina di bombole accatastate. lui stava li e controllava. possedeva solo una radio vecchissima e una foto appesa al muro incrostato. una foto di un posto che nessuno hai mai saputo dove sia. il pastore passava le sue giornate guardando le bombole, pascendo il suo gregge mentre i pochi, ma regolari, clienti si avvicendavano durante la giornata per cambiare, prendere pieni e restituire vuoti.

entrando nella stanzina con la bombola vuota si trovava il pastore seduto sulla sua branda con la radio in mano. lo si guardava per chiedergli: “quale devo prendere?” e lui indicava quella piena (peraltro già chiaramente visibile grazie ad un evidente sigillo rosso fuoco). allora si cambiava, si salutava e ci se ne andava. tutto cosi’, immobile nel tempo e anche nello spazio, considerando che il pastore non si muoveva quasi mai dalla sua brandina.

ma anche nell’immobilità del caldo estivo marocchino può esistere un salto improvviso. una discontinuità, una crepa nel tempo che scuote e risveglia dal torpore. una mattina il pastore sparisce. il pastore che a malapena usciva dalla stanzetta, d’un tratto non esiste più. finito, stop. nessuno sa chi sia, nessuno conosce la famiglia se una famiglia esiste. per quasi vent’anni il pastore è stato solo il pastore di bombole che viveva insieme al suo gregge, nient’altro. e un bel giorno, il pastore sparisce. l’hanno cercato dappertutto (sul mare, tra gli scogli) niente. nessuno ha nessun altro contatto, nessuno da avvisare, nessuno da allertare. il pastore di bombole un giorno è sparito portandosi dietro la sua storia, e una foto. a noi ne resta solo il ricordo che, testardi, vorremo conservare raccontandoci la sera la sua storia, nell’atto supremo di resistenza contro l’oblio, per non dimenticarlo.