episodio 19. hijras

ecco il nuovo episodio, nemmeno troppo in ritardo, peraltro. grazie ai preziosi consigli di andrea, la qualità dell’audio è migliorata incredibilmente. per i contenuti invece purtroppo faccio ancora sempre da solo, quindi sono pieni delle mie solite ipersemplificazioni ed sfondoni di ogni genere. e poi i soliti errori, che ormai lascio per disperazione: ho detto ad un certo punto che “il bene va perquisito” che ovviamente è una fesseria (!) dovuta al fatto che ho sbagliato a dire “perseguito”. per il resto, posso solo dire che stavolta mi sono pure impegnato. quindi se vi fa schifo, è proprio che molto meglio di cosi’ non sono capace di fare. siate clementi.

persa nei versi del mahabharata, uno dei testi fondamentali dell’induismo, è la storia del principe aravan, figlio di arjuna, uno dei 5 fratelli pandavas. è il tempo della guerra contro i cugini kauravas, l’alba della terribile finale battaglia di kurukshetra, e la crudele dea della guerra Kali è assetata di sangue. chiede il sacrificio di una vita umana per permettere ai pandavas la vittoria sul campo di battaglia. dopo una decisione sofferta, il giovane aravan, ancora vergine, viene scelto come vittima. il principe accetta il proprio destino, ma chiede di poter consumare una notte coniugale prima di morire. nessuna donna accetta di sposare un uomo che la renderà vedova dopo poche ore e cosi’, lo stesso dio Krishna assume le sembianze di una donna bellissima, concede una notte d’amore al giovane aravan e piange, come vedova, la sua morte il mattino seguente.

la storia di aravan vive ancora oggi nel festival di koovagam, un villaggio del tamil nadu perso nei campi di canna da zucchero, dove ogni anno, nella notte di luna piena del mese di aprile, migliaia di persone si riuniscono per celebrare il rito del matrimonio di una notte sola. sono gli hijras, che gli inglesi chiamavano eunuchi. rispetto alle nostre categorie occidentali, sarebbero classificati come “transgender”, ma loro ci tengono a dire che sono un terzo sesso, ne’ uomini ne’ donne. all’aspetto sono chiaramente uomini, vestiti con sari e gioielli femminili e truccati da donna.

gli hijras, biologicamente uomini, che effettivamente spesso, ma non sempre, sono stati castrati, trovano un loro spazio nella società indù fin dall’antichità. la loro dea è bahuchara, donna bellissima che in varie storie costringe gli uomini a vestirsi da donna e ad adorarla, per evitare l’impotenza o la castrazione. il suo tempio principale è nel gujarat ed è luogo di culto per gli hijras indiani. sono organizzati in famiglie comandate da un guru al quale sono totalmente devoti. dopo un periodo di prova dall’ingresso nella famiglia, una cerimonia di iniziazione, il cui culmine è a volte l’evirazione, ne sancisce l’appartenenza definitiva.

da sempre vivono ai margini della società, emarginati e rifiutati, vivono di spettacoli alle cerimonie private, di elemosina e prostituzione.

gli hijras del sud dell’india accorrono a migliaia per il festival di koovagam, vestiti da sposa celebrano il martirio del giovane aravan sacrificato agli dei dopo una notte d’amore. dopo giorni di feste varie, con concorsi di bellezza e altri intrattenimenti, il centro della festa è la notte di plenilunio nella quale si celebra un matrimonio di massa dei presenti al dio krishna. la notte poi passa tra i campi di canna da zucchero e al mattino seguente il legame viene sciolto, le vedove piangono la morte del loro amato e poi si immergono in un bagno purificatore, promettendo solennemente di ripetere il rito l’anno successivo.

è una notte di eccessi quella del festival. non solo sesso sfrenato, ma la celebrazione del rito del sacrificio diventa a volte tragiamente reale e al mattino pare che non siano pochi i corpi dei partecipanti ritrovati senza vita. gli hijras sono spesso accusati anche di magia nera.

recentemente il festival è diventato però anche il luogo di ritrovo della comunità gay e transgender indiana, comunità non legata alle tradizioni indù e del tutto simile a quelle presenti nel mondo occidentale, impegnate nella pacifica rivendicazione del diritto alla libertà di espressione sessuale. ovviamente i due gruppi non fraternizzano molto e i conflitti a volte sono aperti e violenti. per quanto possa sembrare strano, hijra e transgender non hanno nulla, o molto poco, a che vedere l’un con l’altro.

gli hijra, pur essendo discriminati e violati, sono dentro la società indù. c’è pochissimo di trasgressivo nel loro essere diversi. gli hijra appartengono alla tradizione, hanno Dei protettori le cui gesta sono cantate dall’alba dei tempi e riportate fino a noi nei 90.000 versi del maharabhata, il più lungo poema epico di tutta l’umanità. nella mitologia hijra, il dio krishna prende le sembianze di una donna per soddisfare l’unico desiderio vitale di una giovane vittima destinata la sacrificio. per noi occidentali questa immagine è di una potenza dirompente. il cattolico che provasse, anche solo per esercizio accademico, ad immaginare una trasposizione della vicenda di aravan nella propria religione, sentirebbe le fiamme dell’inferno bruciargli sotto le terga ancora prima di aver solo formulato dentro di se il pensiero blasfemo. e non voglio neanche immaginare cosa potrebbe succedere poi ad un mussulmano che si baloccasse con lo stesso esercizio.

le geometrie dell’induismo definiscono un perimetro all’interno del quale tutto trova uno spazio naturale. tutto è contemplato e sistemato da qualche parte. persino gli opposti, essitenza e non-esistenza, bene e male.

per i cattolici è il bene e il male sono divisi e si escludono a vicenda. il male esiste proprio in contrapposizione con il bene e ne è nettamente separato. dio è solo infinita bontà e non è anche il male che, anzi, è una deviazione del bene. lucifero è l’angelo che rifiuta dio e cosi’ facendo precipita dal paradiso all’inferno. la simmetria primordiale delle cose si rompe con la creazione, per sua propria volontà, del male. ed è una rottura irreparabile. il male è altro, distinto e va rifiutato con tutti i mezzi possibili. l’uomo, da parte sua, deve scegliere.

nell’induismo invece i contrapposti sono due aspetti complementari del tutto. il bene, che pure deve essere perseguito ed è ovviamente distinto dal male, ne completa in qualche modo l’essenza. la figura del tao rappresenta con la sua rotonda semplicità questa idea di un complementarità nel dualismo: bianco e nero si confondono quasi in un abbraccio e la figura non sarebbe completa se mancasse una delle due parti, identiche in forma e dimensione, diverse nel colore. l’uomo, da parte sua, deve comprendere.

nell’universo indù i poveri, gli esclusi, i diversi, hanno tutti un loro ruolo dentro la società. di più, hanno un ruolo nelle esistenze dell’universo, essendo ciascuno una fase intermedia del ciclo esistenziale di un essere che vivendo purifica il proprio io dalle colpe commesse nella vita precedente. gli hijra, che pure sono emarginati, non sono fuori dal sistema sociale indù.

volendo, questa è peraltro la discriminazione più violenta che devono subire: essere previsti, collocati. per sempre e senza appello. è difficile da capire, da accettare e ancora una volta queste idee ronzano stonate nella mia testa senza che davvero riesca ad arrivare fino in fondo. o anche solo a percorrerne la superficie.

nei giorni prima del festival, qualcuno ci parla di questo inusuale festival che si tiene a un’oretta di strada da pondicherry. con qualche amico decidiamo di andare in esplorazione, a cercare di vedere da vicino un evento sul quale nessuno ci sa dare informazioni precise.

riempiamo una macchina e ci mettiamo in strada, ammazzando il breve tempo del tragitto con improbabili previsioni dei rischi cui andiamo incontro. l’unico rischio reale è in realtà quello di perdere la strada. koovagam è un villaggio minuscolo e non è segnato su nessuna cartina. ci ritroviamo in mezzo a campi di canna da zucchero, davanti alla fabbrica che lavora le canne. una fila infinita di camion è in attesa davanti all’ingresso. è già tardi, probabilmente i contadini dovranno passare la notte qui, per vendere il loro carico portare a casa un po’ di soldi. a giudicare da come ci guardano non devono essere passati molti europei qui ultimamente. però le indicazioni riusciamo ad averle e dopo un po’ arriviamo al tempio degli hijras.

il villaggio è quasi inesistente: una sola strada che porta al tempio e ai lati una decina di capanne in tutto. intorno, campi, a perdita d’occhio. il tempio è illuminato e una musica assordante riempie l’aria pesante della calura tropicale. c’è un grande spazio davanti al tempio nel quale potrebbero stare migliaia di persone. chiediamo di poter entrare nel tempio e dopo un po’ di contrattazione il permesso è accordato. l’interno è piccolo e afoso, i muri sono sporchi di fuliggine e dalle pareti pendono ragnatele antichissime.

c’è un’atmosfera strana nel villaggio e nel tempio. non ci vuole molto a capire cosa sia: il villaggio è deserto. delle migliaia di partecipanti che erano attesi non c’è ancora nessuno. sembra di essere più nei preparativi di una festa che nel mezzo della festa stessa. non capiamo. ci avevano detto che sarebbe cominciato alle 8. sono le 7, sembra strano che in un’ora si possano materializzare qui migliaia di persone e un festival transgender.

nel villaggio ci sono altri 2 occidentali. fanno parte di una troupe della national geographic e sono venuti anche loro per il festival. sono loro a spiegarci l’arcano: il festival è tra due giorni. banale. siamo fuori tempo, per l’ennesima volta e non riusciremo a trovare quello che stiamo cercando, non potremo capire quello che vogliamo conoscere.

facciamo un giro di devozione alle divinità locali, rievochiamo la storia di aravan e ci scambiamo qualche saluto con l’unico hijras presente, anche lui (lei) in anticipo. mi domando se nell’induismo, che un posto trova per tutte le cose, ci sia un posto anche per noi, occidentali stupiti e disorientati. saliamo in macchina e ci guardiamo in fronte. abbiamo tutti il segno bianco della benedizione del santone del tempio. ma non basta.

3 thoughts on “episodio 19. hijras

  1. mi sa che ci riprovo quest’anno.
    pare che ADER sia in qualche modo coinvolta nell’organizzazione attraverso un loro progetto.

    ti faro’ sapere

  2. ma è fantastico! fammi sapere e scatta tante foto! attendiamo (io e internet 🙂 ) ansiosi dettagliati racconti.
    a presto

Comments are closed.